“Di Bello c’è la vita!” – La storia di Doriana Putignano

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Diciannovenne, studentessa di Ingegneria fuori sede al primo anno, piena di aspettative e di energie. Ecco chi è nel Dicembre del 2010 Doriana Putignano, di Ceglie Messapica, oggi 27enne. La sua prima sessione d’esami è alle porte ed in quei giorni rientra in Puglia, per trascorrere le vacanze natalizie in famiglia. E’ durante una doccia che si accorge di avere un leggerissimo dolore alla base del collo: “Sospetto Linfoma di Hodgkin”. L’esame non fornisce un atteso “negativo”, bensì apre la strada a diverse visite e pareri specialistici. Il quadro, però, non è chiarissimo: non accusa sintomi che possano far pensare al peggio e soprattutto si sente in forma. Alcuni medici le dicono di stare tranquilla e di monitorare questi linfonodi. Così torna a Torino per la sessione d’esami. I tanti impegni, gli amici e lo studio la tengono lontana dall’ossessione di voler a tutti i costi chiarire il quadro clinico. Non è facile convivere con un tale sospetto e per questa ragione si rivolge ad un famoso anatomo-patologo, professore dell’Università di Torino, per chiedere un parere sul prelievo citologico. La sua indicazione è quella di eseguire al più presto un prelievo di un linfonodo così da confermare o smentire quello che è il suo forte sospetto, di linfoma.

Inizia le cure il 31 Marzo del 2011, con il primo ciclo di chemioterapia nel Reparto di Oncoematologia Pediatrica di Pisa. Prosegue con i successivi cicli a Brindisi nel reparto di Ematologia, sotto l’ala protettiva del Dottor Quintana. E’ un’estate particolare, se non altro per i consueti appuntamenti bisettimanali in Day Hospital per la chemioterapia. Quei Lunedì segnati sul calendario, danno alle Domeniche sere un senso di angoscia e spesso anche di tristezza. Affronta i cicli contando quante ne restano prima dell’ultima e quando arriva al traguardo, la congedano con un periodo di riposo, prima di affrontare la Radioterapia in 15 sedute.

“Non ricordo esattamente la durata, ma assumere una posizione innaturalmente statica, mi faceva percepire quel tempo come eterno. Credo che quei momenti siano stati i più dolorosi, peggio della terapia in vena, peggio dei “tentativi” al mattino in day hospital per trovare la vena promettente di durare a lungo. Da sola con i tuoi pensieri. immobilizzata ad un lettino con una rigida griglia che faceva passare solo l’aria, sperimentavo la mia fallace convinzione di essere claustrofobica. E puoi fare mille sforzi, cercare di immaginare la cosa più bella che puoi (è questo quello che consiglia il tecnico di radioterapia ad una paziente giovane ed impaurita quando la lascia lì da sola per la prima volta), ma lì imbrigliata in quella maniera, pensare a quello che mi era accaduto e mi accadeva ancora era inevitabile. Una corazza di plastica dura, creata sulle mie forme del viso e del busto, a contatto con esattamente ogni mio centimetro di pelle, mi bloccava ad un lettino con dei bottoni laterali, era aderente, quasi soffocante. Porosa perché dovevo pur respirare, ma così stretta da rendere la macchina sicura di fare bene il suo lavoro: colpire il bersaglio, solo il bersaglio, nient’altro che non sia una cellula tumorale da annientare, sostanzialmente limitare i possibili danni a parti di me sane, che non necessitavano di cure”.

Il termine delle cure avviene tra Agosto e Settembre dello stesso. E Settembre è anche la fine della sua sessione d’esami estiva del primo anno di Ingegneria. Conosciute le date degli esami decide subito la “strategia” pianificandoli in base alle date segnate in rosso sul calendario, quelle delle terapie. Non vuole sbagliare nessun colpo: affrontare un viaggio per Torino le costa energie non indifferenti, esponendola a rischi importanti per lei che cerca la “normalità”.

A cosa pensavi nei momenti più difficili?
Alle probabilità che una ragazza di 19 anni si ammali di cancro. Inutile dire che ricercavo le ragioni, mi sforzavo di dare da sola delle risposte e spesso affidavo al mio medico le mie paure e cercavo di trovare in lui rassicurazioni. Volevo essere sempre coinvolta e cosciente di quello che mi stava accadendo, di come procedeva il mio percorso di cure. Volendo fare un bilancio, sono estremamente convinta di essere stata fortunata, di aver avuto a disposizione delle cure già sperimentate e consolidate, le quali mi hanno portato alla guarigione. Non ho mai pensato concretamente di non farcela, il mio fisico rispondeva bene. Certo ho avuto momenti di tristezza accompagnati da un senso di impotenza, ma condurre una vita “normale”, banalmente anche prepararmi agli esami, mi faceva sentire impegnata in qualcosa che non fosse “guarire” e basta.
Spesso immagino come sarebbe andata se fossi nata in un periodo in cui non erano disponibili le cure e la diagnostica attuale e capisco quanto sia fondamentale la ricerca. Ho sempre creduto fermamente nel progresso scientifico e nella medicina e oggi ancora di più spero che la ricerca scientifica giunga a rendere guaribili con elevata percentuale di successo la totalità delle malattie oncologiche.

A chi dici grazie?
La malattia è stata un terremoto, una notizia arrivata, severa, in un momento tranquillo. Ha sconvolto la mia vita, ma ancora di più la vita delle persone che mi sono a fianco. Non sono una mamma, ma ho imparato cosa significa essere un genitore in questa occasione, ho capito quanto fa soffrire sapere che il proprio figlio è ammalato e non poter fare nulla se non affidarsi alle cure e stargli accanto con tutto l’amore possibile. Sono estremamente grata alla mia famiglia per essermi stata vicina anche quando ero nervosa, irascibile ed intrattabile. Non è facile rispettare le aspettative dell’ammalato e tanto meno le mie, ne sono consapevole. La malattia ti sorprende e, mentre l’ammalato non ha altra scelta che accettare quanto gli sta succedendo, penso invece che non tutte le persone che frequenti siano pronte ad affrontare una situazione simile e questa non è una colpa. Molte spariscono, altre, le più coraggiose e pronte, camminano al tuo fianco per darti forza.

Come è cambiata la tua vita dopo questa esperienza? Il tuo modo di vedere le cose? La tua visione del futuro?
Penso sempre che la mia esperienza con il linfoma sia stata per me una reazione irreversibile. Nella pratica, sono diventata una persona che vive più nel breve e medio termine, non pianifico la mia vita troppo a lungo. Faccio delle scelte per cogliere le opportunità di ogni giorno.

A cosa pensi la mattina appena sveglia?
Alle sfide che mi attendono nella giornata o nella settimana. Compararle alle difficoltà superate in passato mi aiuta a sdrammatizzare e ridimensionare ogni momento di tensione della mia vita personale e professionale. Nessuna decisione difficile, nessun lavoro delicato o nessun incontro ostico può essere più difficile di quelle giornate in terapia o dell’attesa prima di un responso.

Cosa diresti ad un’amica che sta vivendo ora un momento difficile come il tuo?
Non c’è un modo giusto in assoluto per affrontare la malattia, ciascuno dovrebbe fronteggiare il momento secondo il proprio carattere, il proprio bagaglio di esperienze, circondandosi di persone positive. Ciò che non deve mancare è la voglia di guarigione. Personalmente non so se la mente gioca un ruolo decisivo nella risoluzione della malattia (so che esistono molti studi a riguardo), ma mi piace pensare che pazienza ed impazienza di riprendersi la propria vita sia la giusta combinazione verso la ri-conquista della “normalità”.